sabato 6 luglio 2013

Le Cazzate di Noam Chomsky sull'undici settembre

La parvenza dell'intellettuale onesto e temerario..
Noam Chomsky è riuscito a prendermi per il culo per un paio d'anni e prende per il culo generazioni di studenti e di intellettuali in tutto il mondo con la sua parvenza di sovversivo, temerario, amante della pace, del vero, e del senso critico.

L'ipocrita pacifista convinto..
Proprio lui, che ha reputazione di essere un pacifista convinto, di essere uno studioso obiettivo dei mali delle società occidentali; lui, che accusa, giustamente, il sistema scolastico di essere un sistema per imporre l'ignoranza e gli intellettuali di essere, storicamente, servi delle voci che dominano, delle voci delle élite al potere; proprio lui, il pacifista che, mentre parla, ti concilia il sonno; il professore saggio e gentile che appare come un vecchio ciancicato con un piede nella fossa, che vuole smascherare i colpevoli delle guerre e dei genocidi, senza nessuna paura, non avendo nulla da perdere; sì, proprio lui, è il rappresentante del doppio-gioco, della spia che lavora sotto copertura, dell'ipocrita che si finge liberale ma non vede le ragioni della libertà, che si finge amante della verità ma non ne vede le ragioni.




Ignorante o bugiardo?
Può anche darsi che sia in buona fede, essendo che anche a lui va dato il diritto del beneficio del dubbio, come lui lo dà ai governi statunitensi quando li critica bonariamente senza mai avanzare verso i motivi veri che spingono i loro comportamenti aberranti e le loro decisioni in politica estera, tutte volte a promuovere la violenza e il genocidio. Il dubbio m'era venuto diverse volte, durante i primi due anni, quando cercavo di resistere il sonno durante le sue lezioni, perché, ogni volta che faceva riferimento alla buffonata dell'undici settembre, non si lasciava mai scappare alcuna frase che potesse lasciar intendere il sospetto di un massacro organzzato e compiuto dall'interno.



Vita e cuore per la causa della pace?
Chomsky ipotizzava di tutto, ma non scadeva mai nella visione "complottista", come si sforzano di fare tutti quelli che vogliono parere intellettuali obiettivi e imparziali. E però, se cerchi la verità, prima o poi non puoi evitare di fare considerazioni che possono essere intese come "complottiste" dal pubblico delle stronzate dell'industria giornalistica e dei luoghi comuni dell'intrattenimento televisivo. Nondimeno ha fama di essere uno che ha dato la vita e il cuore alla causa della pace, della critica alla violenza dei governi americani e dell'opposizione alla guerra e non ha mai dato una sua versione sui fatti orchestrati in quel teatro dell'undici settembre. Il dubbio ha continuato a rodere fino a che ho preso a sentire più volte la sua lezione titolata remembering VietNam, o Vietnam remembered, durante la quale lo ha assistito un altro professore-mentecatto, stavolta Vietnamita, che ha presentato al MIT un manoscritto con la sua storia della contro-insurrezione, delle sue vicende di collaborazione con gli agenti statunitensi che organizzavano le deportazioni dai villaggi e l'omicidio di massa dei contadini vietnamiti, e, infine, la sua interpretazione sul perché i vietnamiti hanno "vinto" la guerra e sul perché gli americani l'avrebbero "persa". 

La lezione non è interamente uno spreco di tempo

Per la verità non è tutto tempo sprecato. Però, in conclusione, dopo aver appreso dettagli anche interessanti su come procedeva il genocidio operato dai governi americani di quel periodo, l'elemento chiave della guerra del VietNam, che è l'elemento chiave di tutte le guerre, di almeno l'ultimo secolo di guerre, non è stato nemmeno sfiorato.

"La guerra l'abbiamo promossa noi perché siamo responsabili di genocidio, loro hanno resistito perché sono dei nazionalisti-comunisti senza dio e non avevano altra scelta che resistere se volevano tornare a casa, vivi o morti, il VietNam è stato distrutto, non sottovalutate il nazionalismo, non sottovalutate il comunismo, bisognava dare una lezione ai comunisti del sud est asiatico..."

...e altre cretinate del genere. Nessuna di queste spiegazioni si avvicina neppure lontanamente al perché di quella guerra, né al perché delle altre. Che non lo abbia capito il povero professore vietnamita, il quale, in ogni caso, fa una fatica della madonna a esprimersi nelle lingue occidentali, può essere persino accettabile o comprensibile; ma non si accetta da Noam Chomsky. Pensavo che fosse una specie di mezza via, uno che non va diritto fino in fondo all'analisi, che si ferma alle considerazioni moderate; e invece si ferma alle considerazioni le più ovvie e le più superficiali, e lo fa solo dopo averti dato la pesantissima sensazione che lui è in prima linea per la verità, la giustizia e la pace fra le nazioni.

E la prova della presa per il culo si ha quando Chomsky viene preso di petto con delle domande dirette sull'undici settembre; allora inizia a rispondere in modo arrogante, otre che stupido, screditando le migliaia di vittime e le migliaia di parenti delle vittime, che sono i primi a non aver mai creduto alle cazzate della storia ufficiale.

Sono cazzate talmente assurde e ridicole che la risposta di Chomsky ("io non ho competenza scientifica in ingegneria...e certe competenze sulle costruzioni non si acquisiscono spendendo un paio d'ore in rete internet....") è assolutamente irrilevante, oltre che fuori luogo. A che mi serve dover diventare uno specialista di ingegneria civile o di demolizioni controllate per dimostrare che la versione ufficiale, che è una favola assurda è ridicola, è falsa? Sono loro che devono dimostrare la versione ufficiale, ed è impossibile perché hanno detto talmente tante e tali cazzate che nessuno sano di mente può prenderla sul serio. 

L'arte del depistaggio

L'intellettuale ruffiano ma furbo è difficile da smascherare, soprattutto quando lo si vede nelle prime file di tutte le manifestazioni per la pace, fin dai tempi in cui era giovanissimo. È anche probabile che egli sia stato in buonissima fede per una buonissima parte della sua carriere e che, perciò, sia generalmente riconosciuto, dai più, persona affidabile, onesta, correttamente critica. Ma, da un certo momento in poi, il suo atteggiamento cambia; non si sa da quale momento e in rapporto a quale evento traumatico o a quale delusione o a quale altro elemento esterno che possa aver corrotto la sua visione del mondo. Da quel momento, ed è comunque un momento in cui la sua leadership intellettuale è già riconosciuta generalmente, la sua opinione appare sempre più spesso sugli schermi e sulla carta stampata, e appare sempre più vaga. Non importa che sia preciso e che sia duro nella critica, visto che ormai è accreditato, ha reputazione d'intellettuale critico attento e, qualunque cosa dica, ciò che dice sarà sempre etichettato come il punto di vista dell'intellettuale onesto che ammette i genocidi dello stato che lo stipendia come professore universitario; egli ammette, sì, che si tratta di crimini di guerra, di orrendi assalti alle popolazioni civili, e ammette molte altre cose che gli danno reputazione di essere un intellettuale contro il sistema. Ma, come tutti gli altri intellettuali lecca-culi, anche lui sbaglia l'analisi al momento cruciale, quando si tratta d'individuare i veri responsabili della guerra e le vere ragioni della guerra.

L'importanza della comprensione dei motivi della guerra
È importante investigare i motivi delle guerre. È la cosa più importante, se si vuole evitare che la tragedia si ripeta. Perché, pare che, a parole, siamo tutti d'accordo sul fatto che la guerra sia un male, che è violenta, che uccide vittime innocenti, eccetera; ma ci sono vittime che vengono considerate più uguali di altre, guerre che vengono considerate più giuste di altre e mali che, con un pretesto o con l'altro, sono sempre considerati mali necessari, inevitabili e neppure tanto tragici o terribili.

La guerra non è mai un male inevitabile
Il primo passo per sopravvivere consiste nel comprendere che la guerra non è affatto un male inevitabile; la guerra non è un male necessario, la guerra non è divisibile tra guerra giusta e guerra sbagliata, fra guerra per la pace e guerra di conquista, fra guerra buona e guerra cattiva. Le guerre sono tutte evitabili, sono tutte cattive, sono tutte sbagliate e, tutte, producono decine di milioni di vittime innocenti, anche queste, tutte vittime uguali ad altre vittime.

Chomsky fa la morale ai presidenti e dimentica chi lavora dietro di loro..
Mentre lo si sente accusare apertamente quel presidente e quell'altro vice-presidente, non lo si ode mai proferire una sola parola, mai, rivolta verso il meccanismo che manipola i "suoi" presidenti, i burattini al governo che eseguono al dettaglio gli incarichi elencati nella lista della spesa dei suggeritori e dei soggetti che hanno armato e finanziato la guerra.

Ed è capace di fare anche peggio; dal podio respinge l'ipotesi che l'undici settembre sia stato un lavoro dall'interno; ipotesi di quegli allievi che, interpretando i fatti conosciuti, le migliaia di studi prodotti e le querele dei parenti delle vittime, non hanno bevuto le cazzate assurde e ridicole della versione ufficiale. Secondo Noam Chomsky, l'amministrazione Bush non ha senso che sia considerata responsabile del crimine, perché, se lo avessero architettato loro, sarebbe stato "insensato" per loro stessi, il fatto di usare terroristi sunniti creati dalla CIA, protetti dalla DIA, gestiti dal dipartimento di stato e dagli enti di stato che rilasciavano loro i visti, e sanzionati dalla Casa Bianca, per portare a termine un attacco che hanno progettato apertamente loro, su documenti ufficiali pubblicati e dal quale, anche per ammissione dello stesso Chomsky, loro hanno beneficiato sia a livello personale che a livello politico-economico.

Altre cazzate piuttosto grosse Noam Chomsky le ha sparate sulla guerra in Viet Nam, in occasione di una delle tante presentazioni al MIT durante uno dei tanti anniversari dalla fine di quella guerra che coincide sempre con l'inizio si un'altra o più di un'altra e dà sempre la possibilità a presidi, ospiti e insegnanti, di fare un po' d'inutile retorica; tanto, in occasione alla tragedia di quindici anni, durante i quali milioni di contadinin indifesi sono stati fatti a pezzi, e avvelenati per le prossime generazioni, la retorica trionfa ed è sempre difficile lavorare seriamente sulle informazioni e sulle idee prodotte durante quegli eventi.

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